La riflessione pedagogica solo recentemente ha posto l’attenzione sulla consulenza come modalità di intervento e sostegno alla persona, alla famiglia, al singolo genitore in difficoltà. Il processo di consulenza pedagogica è rivolto alle persone che, trovandosi in situazione di difficoltà vivono conflitti, ambivalenze, incertezze che le limitano nelle loro competenze formative. La consulenza pedagogica può risultare come strumento utile per aiutare il soggetto a superare i problemi che gli si presentano, aumentando così la sua autostima e consapevolezza per svolgere al meglio il suo compito educativo.
La relazione d’aiuto è un facilitatore e sostenitore dei rapporti educativi, soprattutto nei momenti di disorientamento e di frustrazione. La componente emotiva e relazionale sta alla base del processo e poggia su una solida comunicazione interpersonale, sostenuta da una chiara intenzionalità educativa. La relazione d’aiuto in pedagogia è una pratica finalizzata allo sviluppo delle capacità del soggetto il quale ha il privilegiato compito di “imparare a educarsi” al cambiamento, di appartenersi, di autodeterminarsi e divenire così unico protagonista del proprio futuro. Potremmo dire che il cuore della consulenza pedagogica è proprio la relazione.
L’incontro tra professionista e cliente si basa sull’ascolto attivo, l’empatia, l’uso di specifiche domande, la comunicazione assertiva, la riformulazione del problema e il rispecchiamento. Attraverso questo dialogo, la persona è guidata ad assumere nuovi punti di vista e a cercare soluzioni alternative alle sue difficoltà, soluzioni che spesso non riesce a trovare da sola. Compito del pedagogista non è quindi fornire soluzioni, ma agevolare nel soggetto la nascita di nuovi percorsi mentali e di azione.
Secondo la definizione di Carl Rogers (psicologo), la relazione d’aiuto è: «una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione».
Relazione d’aiuto o relazione terapeutica?
C’è una sostanziale differenza tra la relazione d’aiuto e la relazione terapeutica. La relazione terapeutica vede da una parte il medico o lo psicologo (con titolo di psicoterapeuta) e dall’altra il paziente e presuppone un lavoro di tipo introspettivo finalizzato a ristabilire un equilibrio mentale (sciogliere nodi interni, risolvere questioni irrisolte, affrontare dei traumi, elaborare fatti accaduti nel passato, lavorare sulle fobie ecc.). Nella relazione di aiuto la “normalità” non esiste. Esiste l’unicità ed è su questo aspetto che lavora il pedagogista e tutte le altre professioni definite, appunto, “d’aiuto”. La persona (non paziente!) viene accolta per ciò che è e si interviene affinché raggiunga quello stato di benessere che considera giusto per se stessa. Non esiste, infatti, un benessere oggettivo a cui tendere. Nella vita ognuno deve imparare a riconoscere ciò che gli suscita piacere, serenità e gioia.
La relazione d’aiuto ha l’obiettivo di portare a galla le risorse interne e impiegarle nel miglior modo possibile nell’ambiente.
Franco Blezza (pedagogista) afferma: «per il pedagogista non esiste concettualmente lo stato di normalità comunque considerato» perché egli sa riconoscere e salvaguardare l’unicità, l’originalità e l’identità della persona in tutte le sue declinazioni e promuovere il potenziale intrinseco per assicurare all’individuo le migliori condizioni di vita.
Le condizioni necessarie per una solida relazione d’aiuto
Esistono alcune condizioni necessarie affinchè si sviluppi una solida relazione d’aiuto e sono principalmente:
- Empatia
- Accettazione
- Reciprocità
- Fiducia
- Comunicazione
L’ empatia è contenere sé e l’altro: è immergersi nella sua soggettività, nel suo modo di vedere il mondo e di sentirlo senza che ci sia identificazione. È un processo edificato sul sentire, come se io sentissi al posto dell’altro.
L’accettazione è vivere la realtà nella quale ci troviamo (anche quella estremamente dolorosa) con consapevolezza, senza scappare. Ciò non significa subire, ma implica un rispetto per la nostra esperienza della realtà.
La reciprocità, dal latino recus “indietro” e procus “avanti” significa “ciò che torna”. La relazione reciproca d’aiuto è il luogo in cui la persona può cambiare la propria forma, rimanendo sempre sé stessa, in una logica di scambio e di restituzione.
La fiducia si basa sulla sensazione di essere al sicuro, sulla certezza di poter contare sull’altro o sulle nostre capacità. È sentirsi comodi in una certa situazione, al sicuro, coraggiosi nell’esporsi e nell’affermare le proprie idee.
La comunicazione si basa sull’ascolto attivo, sull’intenzionalità (mediante la comunicazione verbale e non verbale) e sull’assertività.
La relazione d’aiuto è una strategia di intervento finalizzata ad aiutare la persona in stato di bisogno, a definire il problema evolutivo e imparare a gestirlo. Può trattarsi di un problema personale, sociale, relazionale, familiare o lavorativo.
Il presupposto di partenza è che, a prescindere dalle condizioni dell’individuo e della sua capacità o meno di trovare da sé delle soluzioni adeguate, vengano conservate delle risorse interiori emotive, affettive e cognitive. È compito del pedagogista riattivarle, e renderle evidenti alla persona affinché impari a sfruttarle al meglio e con la giusta consapevolezza.
Guardandoti dentro puoi scoprire la gioia, ma è soltanto aiutando il prossimo che conoscerai la vera felicità.
Sergio Bambarén, L’onda perfetta, 1999